A tavola con l’aristocrazia siciliana – Il timballo del Gattopardo
“Era inutile sforzarsi a credere il contrario, l’ultimo Salina era lui, il gigante sparuto che agonizzava (…). Perché il significato di un casato nobile è tutto nelle tradizioni, cioè nei ricordi vitali; e lui era l’ultimo a possedere dei ricordi inconsueti, distinti da quelli delle altre famiglie”.
Con queste parole, Giuseppe Tomasi Principe di Lampedusa rende in modo inequivocabile il significato del ricordo, della memoria: gli uomini, gli oggetti, i paesaggi vivono una vita inestricabilmente intrecciata e ciò che dà un senso all’esistenza è il sapere che dopo di noi quegli stessi riti, gesti e tradizioni continueranno in eterno.
Risuona dentro di me il significato profondo di queste parole: ricordo, memoria, oggetti. Riti, gesti e tradizioni che continueranno dopo di me, fortunata detentrice di ricordi familiari e tradizioni che restano vive grazie a questo blog, ai miei gesti quotidiani e al lavoro costante di memoria e trascrizione che porto avanti con mamma Galitzine. Ho sentito mie le parole di Tomasi di Lampedusa perché il mio patrimonio umano e familiare è molto legato anche alla Sicilia, di cui sin dall’infanzia ne ho conosciuto gli aspetti più affascinanti e più aristocratici. Ho parlato spesso in questo blog della Sicilia e di Palermo in particolare, che porto sempre nel cuore, avendo avuto la fortuna di respirare e vivere le atmosfere gattopardesche. Il mio mondo delle fiabe era quello ed era reale e Galitzine è stata fondamentale in questa liaison d’amore. Mi ha fatto amare la Sicilia con i suoi occhi, tanto da riconoscermi nella frase “bisogna essere intelligenti per venire in Sicilia”. Intelligenza intesa come qualità dell’anima, quella riferita non soltanto alla capacità di comprendere un paesaggio ma anche un diverso sentire umano, una diversa cultura, una frontiera: l’accettazione dell’ineluttabile, la mescolanza, l’ambiguità, la contraddizione, la passionalità, la religiosità, in una parola il fascino dell’eccesso.
E questa mescolanza, passionalità ed eccesso sono ben radicati nella cucina siciliana. Il mangiare è fatto di cibo, cultura, conoscenza, competenza, gusto, estetica, equilibrio, armonia, godimento, buon umore. Ingredienti indispensabili della persona che sa ed è.
Il Gattopardo ci fa assaporare quasi fisicamente le pietanze aristocratiche che rievoca nelle descrizioni del pranzo a Donnafugata, dove appare il famoso timballo “torreggiante” o nell’elencare l’opulenza del buffet a palazzo Ponteleone (dove si svolge il ballo); ma anche il più umile ragù che sobbolle nella povera dimora di padre Pirrone è descritto con tale efficacia che sembra di essere avvolti dai suoi vapori profumati. Sono sicuramente odori e sapori che Tomasi di Lampedusa descrive attingendo dai ricordi infantili. I cibi rievocati con un piacere struggente e intenso e non meno dei cibi anche l’apparecchiatura sontuosa viene descritta con dovizia di particolari rimandando ad atmosfere ormai perdute “La cena a Villa Salina, era servita con il fasto sbrecciato che allora era lo stile del Regno delle Due Sicilie…”.
Analizzare le ricette di cucina può essere un approfondimento antropologico, in un certo senso, una documentazione della storia sociale. Riproporre le ricette della tradizione aristocratica siciliana ha richiesto un lungo lavoro di ricerca letteraria perché poco o nulla resta codificato nei manuali di cucina. Attraverso la letteratura, invece, si riscoprono percorsi alternativi che più o meno direttamente rievocano un mondo di consuetudini, privilegi e fasti ormai decadenti.
Per questo post ho deciso di riportare la ricetta del timballo di maccheroni che l’autore descrive così: “L’oro brunito dell’involucro, la fraganza di zucchero e di cannella che ne emanava, non era che il preludio della sensazione di delizia che si sprigionava dall’interno quando il coltello squarciava la crosta: ne erompeva dapprima un fumo carico di aromi e si scorgevano poi i fegatini di pollo, le ovette dure, le sfilettature di prosciutto, di pollo e di tartufi nella massa untuosa, caldissima dei maccheroni corti, cui l’estratto di carne conferiva un prezioso color camoscio.”Il timballo del Gattopardo (detto anche Timballo dei principi o pastacolforno) è un sontuoso piatto unico dove, nelle molteplici varianti, ritroviamo: la pasta asciutta, la carne e le verdure che stagionalmente possono variare, così possiamo ritrovare chi, ad esempio, utilizza le melanzane, i piselli, l’uovo sodo, cubetti di salame o prosciutto o fegatini di pollo e quant’altro.
Questa antica ricetta siciliana è del 1860 ed è quella che più si avvicina alla descrizione fatta da Tomasi di Lampedusa (Fonte: Accademia Italiana di Gastronomia e Gastrosofia).
Ingredienti per 6 persone: 400 ml sugo di carne, va bene l’estratto, 1/2 pollo lessato, 100 g funghi freschi o surgelati, 100 g fegatini di pollo, 200 g prosciutto cotto, tagliato a striscioline, 100 g di salsiccia, 120 g pisellini mignon, lessati al dente burro, 500 g maccheroni, parmigiano grattugiato, 3 uova sode a fette, sale e pepe, un tartufo nero.
Per la pasta frolla: 400 g di farina, 200 g di zucchero, 200 g di burro a temperatura ambiente, sale e cannella un pizzico, 4 tuorli d’uovo.
Per la crema pasticcera: 3 cucchiai di zucchero, 3 tuorli d’uovo, 2 cucchiai di farina, sale e cannella un pizzico, 1/2 litro di latte.
Preparazione: Fare la pasta frolla impastando velocemente con le mani tutti gli ingredienti in modo da ottenere un composto omogeneo e lasciatela riposare un’ ora coperta con un panno in frigorifero. Procedete poi a preparare la crema pasticcera che coprirete con la pellicola trasparente fino al momento dell’uso. Preparate poi delle polpettine, grandi come nocciole, con 200 g di carne tritata di pollo lesso mescolata a 1 uovo, 100 g di prosciutto cotto, 2 cucchiai di parmigiano, prezzemolo tritato e un pizzico di sale. Friggetele in abbondante olio e tenetele da parte. Fate insaporire in un po’di burro il pollo ed il prosciutto rimasti, tagliati a striscioline; aggiungete i fegatini, le salsicce, i funghi, le polpettine, i pisellini e cuoceteli per qualche minuto. Trasferiteli poi in una casseruola con qualche cucchiaiata di succo di carne e fate cuocere ancora per qualche minuto in modo che i sapori si mescolino bene. Lessate nel frattempo i maccheroni molto al dente, scolateli e conditeli con il sugo di carne, il burro, abbondante parmigiano e fateli raffreddare. Imburrate una tortiera ad anello di 30 cm di diametro e ricoprite il fondo ed i bordi con un terzo della pasta frolla che avrete steso sottile, circa 1/2 cm. E’ importante che la pasta sporga un po’dai bordi in modo che con facilità possiate chiudere il timballo con l’altro disco di pasta. Disponeteci sopra metà dei maccheroni, distribuiteci sopra la finanziera di carne, le uova, spolverizzate con il parmigiano e il tartufo nero a lamelle, infine coprite con il resto dei maccheroni a cui darete una forma leggermente a cupola sulla quale verserete la crema pasticcera che farete penetrare bene. Ricoprite il timballo con la pasta frolla avanzata premendo bene i suoi bordi per farla aderire alla prima. Spenellate la sua superficie con dell’uovo sbattuto e fate cuocere per circa 45 minuti nel forno a 180 gradi. Prima di togliere l’anello, lasciatelo riposare per 5 minuti e servitelo subito.