Metà principessa, metà Sora Lella… la coda alla vaccinara “très Chirac”
In questi frenetici giorni pre-natalizi, scorazzando per Roma a bordo della mia inseparabile Smartina, soprannominata dalle amiche la “Franci-car”, non ho molto tempo per mangiare e banchettare e quindi mi rimpinzo di cibo volante o cibo di strada. A Roma, il cibo di strada per eccellenza è la pizza o una serie di cose fritte di derivazione giudaico-romanesca come i supplì o il baccalà fritto. Ma… da quando ho scoperto “00100” o “Trapizzino” come lo chiamiamo confidenzialmente noi romani, la mia sosta d’obbligo è quella. Perciò, ovunque io mi trovi, devio per il caratteristico e popolare quartiere di Testaccio per una sosta (non proprio leggera…) da Trapizzino.
L’idea del trapizzino (una sorta di acronimo tra pizza e tramezzino) è nato dalla sintesi tra la buona pizza e la buona cucina romana e così 00100 lo spiega:
“La storia, il costume, le abitudini dei romani vogliono che sia tradizione farcire la pizza bianca. Già… E allora perché limitarsi agli affettati, al prosciutto e fichi, alla nutella?
Perché non farcirla con quei piatti così tipici della cucina romana che ne hanno fatto un “unicum” nel panorama cuilinario?
Perché non farcirla con la coda alla vaccinara? E con le polpette al sugo? Con il pollo alla cacciatora o ai peperoni, le seppie e piselli, lo straordinario picchiapò, e ancora con la trippa, la lingua in salsa verde, il garofolato, la coratella con i carciofi o con le cipolle? Perché rinunciare ad una simile goduria?”
In effetti! Da quando l’ho scoperto, è diventato il mio posto di riferimento. E siccome mio marito Anto, per prendermi in giro, mi dice che sono metà principessa e metà Sora Lella, ma quando mangio sono tutta Sora Lella… in primis, il trapizzino lo prendo ripieno di coda alla vaccinara, poi segue tutto il resto.
Per evitare le ingiuste accuse e difendere il mio trapizzino con coda… racconto ad Anto un’intervista di qualche anno fa a Inès de la Fressange, magrissima modella e icona Chanel che, al Café de Flore a St. Germain-des-Prés, si ingozzava di un mix di carne bollita o non so che altro che lei, con tutto il suo estremo chic, definì un piatto “très Chirac”! questa la mia difesa… l’alibi perfetto per replicare ad Anto che anche il mio trapizzino, strabordante di coda alla vaccinara è decisamente “très Chirac”…
Io vado pazza per la coda alla vaccinara è la ricetta che vi darò è quella di Anna Dente, della famosa Osteria di San Cesareo, perché è telle quelle a quella che preparava mia nonna Elena.
Ingredienti:
8 nodi di coda di bue
3 cucchiai di olio extra vergine di oliva
mezza cipolla dorata
1 kg di sedano
500 gr di carote
1 kg di pomodori pelati
750 gr di pomodoro passato
1 cucchiaio di pomodoro concentrato
peperoncino intero, a piacere
mezzo bicchiere di vino bianco o rosso secco
sale q.b.
20 gr di pinoli sbucciati
50 gr di uvetta
20 gr di cioccolato amaro
Procedimento: mettere gli 8 nodi di coda di bue in un recipiente con dell’acqua fredda per circa tre ore. Fate imbiondire la mezza cipolla in un tegame con l’olio. Aggiungete i nodi di coda e fateli rosolare con sale e peperoncino a pezzetti. Tagliate a rondelle le carote e il sedano e uniteli alla coda cuocendo a fuoco moderato. Quando il sedano e le carote saranno abbastanza cotti aggiungete il mezzo bicchiere di vino e fatelo evaporare. Aggiungete i pomodori pelati, la passata di pomodoro e il concentrato.
Lasciate cuocere a fuoco moderato per circa due ore e mezza o tre, mescolando di tanto in tanto. A questo punto aggiungete i pinoli, l’uvetta e il cioccolato amaro grattato finemente. La coda è pronta!